Letizia Giorgianni, deputato senese di Fratelli d’Italia, già presidente dell’Associazione salva banche, ha commentato la notizia sulla svolta del delitto di Garlasco sulla base dei suoi trascorsi da giornalista d’inchiesta, scrivendo un post sui social nel quale evidenzia un comune denominatore tra due fatti di cronaca. Al Secolo d’Italia ha scelto di articolare ulteriormente il suo ragionamento.
Onorevole Giorgianni, qual è il filo rosso che unisce la riapertura dei casi di Liliana Resinovich e del delitto di Garlasco?
«Il filo rosso è la crisi silenziosa della qualità investigativa. In entrambi i casi – come purtroppo in molti altri – stanno emergendo elementi che mettono in discussione le ricostruzioni iniziali, frutto spesso di indagini frettolose o condotte con superficialità. Non è accettabile che solo dopo anni si scoprano piste mai approfondite, tracce ignorate, ipotesi alternative non esplorate. Il vero tema è culturale: la giustizia non può permettersi l’approssimazione. Serve rigore fin dall’inizio, perché la verità giudiziaria si costruisce prima del processo, nell’attività d’indagine».
«Assolutamente sì. Se c’è una lezione da trarre da questi casi è che il sistema attuale non garantisce più un accertamento solido e imparziale della verità. Per questo la riforma non è solo opportuna: è urgente. E non parliamo solo di norme, ma di una rivoluzione culturale. Il pubblico ministero non può essere il terminale passivo della polizia giudiziaria, né il burocrate che archivia per inerzia. Deve tornare a essere un protagonista competente, scrupoloso, autonomo e soprattutto responsabile della qualità delle indagini».
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